Conoscere il male per poterlo trasformare – IV parte

Conoscere il male significa umanizzarlo

Ora, ritornando al grande contributo conoscitivo dato da Tommaso d’Aquino al problema della conoscenza del male, abbiamo visto come le responsabilità ricadano sull’uomo, e in particolare alla libertà di cui egli dispone di omettere eventualmente il bene dovuto.

Il fatto che il bene sia omissibile, e che le forze dell’ostacolo operino sull’uomo perché egli lo ometta, è d’altro canto la condizione necessaria – e al contempo la garanzia – affinché l’uomo possa fare l’esperienza stessa della libertà.

Questo significa che il binomio bene-male ha senso solo entro la sfera dell’uomo. Nell’ottica evolutiva che Rudolf Steiner introduce, per l’uomo il sommo bene è: “diventare uomo”. Uomini infatti si diventa, non si è. Possiamo allora ridefinire il concetto di bene come tutto ciò che rende più umano l’uomo, mentre il male al contrario è tutto ciò che lo rende disumano.

Se il bene reale è la piena realizzazione di ciascun uomo, aristotelicamente ciò deve valere anche per il suo contrario per cui anche il male è la piena negazione dell’uomo. Ne segue che se voglio conoscere il male, come diceva Plotino, devo occuparmi del bene, e cioè dell’uomo. In un certo senso devo cioè “umanizzare il male”.

Questo è il primo passaggio dalla comprensione alla trasformazione. Ma cosa significa umanizzare il male? Vediamolo occupandoci del bene.

In prima istanza significa evitare la “fuga al trascendentale”. Abbiamo visto quanto Platone prima e Agostino dopo abbiano insistito sul fatto che il male ontologicamente non esiste. Però hanno poi posto il sommo bene – Dio – fuori dalla portata della vita reale, aprendo la strada alla concezione dell’uomo come creatura limitata, e quindi meno libera. Steiner invece ci dice che l’uomo non è limitato, pur essendo creatura, ma è solamente incompleto! Più compie il bene, più si autorealizza, e più diventa libero. Altrimenti non si spiegherebbe perché il Cristo dice nel Vangelo:

Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi?».1Gv 10,34.

Se passiamo al contrario del bene, porre il male fuori dell’uomo ha come unico effetto quello di intimidirlo nel suo percorso di crescita spirituale e subordinarlo costantemente alla paura derivante dalla minaccia maligna incombente (inferno, demonio, satana, ecc.). Si dice infatti nel linguaggio comune: «Non demonizzare».

Dobbiamo constatare, senza alcuna intenzione di critica, che molte religioni – specialmente quelle monoteistiche – hanno operato in tal senso, ponendo il mondo spirituale in un altrove trascendente, esterno all’uomo, che lo sovrasta a tal punto da schiacciarlo. In particolare, le religioni cristiane, hanno trasformato il Cristo in un Essere inarrivabile, al di fuori delle reali capacità evolutive umane, mentre Egli dovrebbe rappresentare proprio l’ideale evolutivo di ogni uomo. Ideale che pertanto
dovrebbe essere insito nelle capacità e possibilità di ciascun uomo. Il Suo farsi uomo non è altro che
l’averci mostrato che ciò è possibile (attraverso l’evoluzione) ed è anche l’invito a fare altrettanto.

La trasformazione: amore e libertà

L’azione di umanizzazione ha come primo effetto quello della riconquista interiore della libertà
inalienabile che ciascun uomo ha, che in quanto tale, è solo omissibile dall’uomo stesso, o verso se
stesso o nei confronti degli altri uomini.
Girando i termini, solo riappropriandoci della nostra libertà potremo riportare sul piano umano il confronto (leggi “la lotta”) con le forze dell’ostacolo. Se osserviamo sotto questa lente molti cosiddetti mali che affliggono gli individui e la società, vediamo che in fondo essi hanno come denominatore comune la “privazione” e/o “mancanza” della libertà. Per citare solo alcuni esempi che lascio alla meditazione di ciascuno: la tecnologia delle comunicazioni (internet, chat, messaggistica); la globalizzazione economico-industriale; il cosiddetto Internet delle Cose (IOT – Internet of Things).

Il secondo criterio che consente di avviare a pieno regime il processo trasformazione è l’amore.

Abbiamo detto come in Agostino si trovi la concezione fondamentale per la quale l’amore è il motore per conoscere il mondo. Questa concezione del primo cristianesimo, che ancora è portatore del messaggio originario del Vangelo, viene riproposta in termini filosofici da Tommaso e in termini poetici da Dante,2Nella sola Commedia la parola amore/amor ricorre 148 volte: 19 nell’Inferno, 50 nel Purgatorio e 79 nel Paradiso. che conosce molto bene la filosofia tomistica:

L’animo, ch’è creato ad amar presto,
ad ogne cosa è mobile che piace,
tosto che dal piacere in atto è desto.

Vostra apprensiva da esser verace
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
sì che l’animo ad essa volger face;

e se, rivolto, inver’ di lei si piega,
quel piegare è amor, quell’è natura
che per piacer di novo in voi si lega.

Poi, come ‘l foco movesi in altura
per la sua forma ch’è nata a salire
là dove più in sua matera dura,

così l’animo preso entra in disire,
ch’è moto spiritale, e mai non posa
fin che la cosa amata il fa gioire.3Dante Alighieri, Commedia, Purgatorio, XVIII, 19.39. Di seguito la parafrasi:
L’anima, che è creata con una disposizione naturale ad amare, è pronta a muoversi verso ogni cosa piacevole, non appena è messa in attività da questo piacere.
La vostra facoltà conoscitiva trae l’immagine da una cosa reale e la elabora dentro di voi, così che spinge l’anima a indirizzarsi verso di essa;
e se l’anima, così indirizzata, si volge verso quella cosa, questo atto è amore, è un atteggiamento naturale che primariamente si lega in voi per la cosa piacevole.
Poi, come il fuoco si leva verso l’alto per la sua natura, che lo spinge a salire là dove la sua materia dura più a lungo (nella sfera del fuoco), così l’animo preso da amore nutre il desiderio, che è un movimento dello spirito, e non cessa per tutto il tempo in cui la cosa amata gli dà gioia.

Siamo nel canto XVIII del Purgatorio, e Virgilio sta spiegando a Dante cos’è il vero amore e come distinguerlo dalla sua forma più bassa e istintiva, che i più invero scambiano per amore. L’amore in sé non è mai colpa, poiché è come la cera usata per fondere una forma: se il risultato della fusione
è brutto (e quindi difettoso) non dipende dal materiale di fusione, bensì dallo stampo.

Dante non si ritiene soddisfatto dalla spiegazione, allora Virgilio spiega meglio cosa intende dire con un discorso che termina con queste parole:

Onde, poniam che di necessitate
surga ogne amor che dentro a voi s’accende,
di ritenerlo è in voi la podestate.

La nobile virtù Beatrice intende
per lo libero arbitrio, e però guarda
che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende».4Ibidem, 70-75

La chiosa del maestro di Dante ci dice in altre parole che l’uomo è, sì, naturalmente portato ad amare, ma ad essere sempre lodevole è solo la disposizione innata nell’anima, quindi l’amore in potenza, mentre la sua trasformazione in atto (quando l’uomo sceglie l’oggetto verso cui indirizzare il proprio amore) può essere buona o cattiva a seconda della libera scelta della cosa amata e da questo nasce la virtù o il peccato. In altri termini, l’uomo non deve abbandonarsi in modo indiscriminato alle sue inclinazioni ad amare, ma deve sottoporre ciò che sceglie al vaglio della ragione o, come direbbe Beatrice, del libero arbitrio.

Potremmo riassumere quindi che solo l’amore indirizzato alla conoscenza rende liberi, come del resto è già stato detto nel Vangelo di Giovanni

καὶ γνώσεσθε τὴν ἀλήθειαν, καὶ ἡ ἀλήθεια ἐλευθερώσει ὑμᾶς.
e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi.5Gv 8, 32

Come infatti dice Rudolf Steiner nel suo testo fondamentale La filosofia della libertà, la libertà consiste nel conoscere i motivi che poniamo alla base del nostro agire. Sarò libero cioè solo quando sarò mosso da motivi e non da moventi, dove con movente si intende qualunque causa esperita ma non portata a coscienza e quindi conosciuta.

Il mio agire può essere rivolto verso di me così come verso il prossimo, per cui possiamo affermare che esiste un bene per sé e un bene per il prossimo. Se le forze dell’ostacolo minano il mio bene, e io decido di soggiacere al loro influsso, sarà meno libero; d’altro canto se la loro azione è invece tesa a far sì che il bene che io ometto vada a svantaggio del prossimo, allora renderò meno libero l’altro.

La griglia conoscitiva del bene diventa allora:

     |     Libertà       |         Amore        |
BENE | Amore per la mia  |    Libertà per la    |
     |  realizzazione    | realizzazione altrui |

All’opposto, la griglia conoscitiva del male diventa:

     |     Libertà       |         Amore        |
MALE | Se non mi amo, mi |   Se rendo schiavo   |
     | ometto e rinuncio | il prossimo, non lo  |
     | alla mia libertà  |          amo         |

Il bene e il male nel pensare, nel sentire e nel volere.

L’azione malvagia, ossia l’omissione di libertà e amore, è però sempre e prima di tutto un’azione individuale. La prima causa del male nel mondo va ricercata nell’individuo, e questo è il vero e proprio male morale, poi come causa seconda esso di propaga nella collettività.

Si tratta allora di trasformare il singolo individuo anzitutto. Ma per fare ciò, poiché come abbiamo visto in precedenza l’uomo è un essere assai articolato, è necessario comprendere come l’influsso delle forze ostacolatrici opera in noi, nelle tre facoltà dell’anima pensare, sentire e volere.

Nel pensare umano il più grande male ovviamente il non pensare. Ma su cosa sia il pensare Rudolf Steiner dedica un intero libro, il già citato La filosofia della libertà. In esso spiega come il pensare sia quel processo, svincolato dai sensi, che si svolge non osservato ogni qual volta l’uomo associa un concetto ad una percezione (esterna o interna). La percezione è il dato, ed è sempre vera e incontrovertibile; mentre il concetto è la parte spirituale che noi associamo al dato nella costruzione di una rappresentazione. Il bene nel pensare è quella destezza, paragonata alla mobilità del fuoco nel brano di Divina Commedia di cui sopra, che muove verso la conoscenza. Infatti, più ampio è il nostro patrimonio concettuale, più ricca e dettagliata sarà la nostra rappresentazione della realtà.

Il bene del sentire è di amare le possibilità evolutive insite nella conoscenza di ciò che il mondo in un determinato tempo ci offre: «compito del cuore è di amare il bene che il pensiero coglie come verità; è di far sorgere ideali».6Cfr. Pietro Archiati, Il mistero del male nel nostro tempo, L’Opera Editrice, Roma 1997. Laddove i concetti colti dal pensare divengono ideali, vengono cioè infusi dal calore del sentimento, si attiva una corrente di bene che dal cuore irradia la testa e poi il l’individuo intero.

Il male, al contrario, è l’indifferenza di fronte a tali possibilità, è il disinteresse che al limite diventa ignavia.

Il bene della volontà è la decisione di attuare ciò che è bene e che è stato liberamente colto dal
pensiero puro e infuso di amore dal cuore. Il male, al contrario è tutto ciò che possiamo individuare nell’inerzia, nell’abulia, nella mancanza di impulsi volitivi.

Il pensiero libero dai sensi diventa allora il propulsore dell’uomo nella sua interezza. Perché il bene diventi reale non basta conoscere ciò che è bene, non basta amarlo: bisogna volerlo e tradurlo nella concretezza della vita. Come del resto aveva già affermato Martinez de Pasqually:

Possiamo vedere che l’origine del Male non è stata causata che dal cattivo pensiero seguìto dalla cattiva volontà dello spirito contro le leggi divine; e non che lo stesso spirito emanato dal Creatore sia direttamente il Male; perché la possibilità del Male non è mai esistita nel Creatore. Esso nasce unicamente dalla sola disposizione e volontà delle sue creature.7Cfr. Martinez de Pasqually, Trattato della Reintegrazione degli esseri.

Tutto ciò in perfetto accordo con la massima iniziatica che dice: “Un passo nella conoscenza, tre passi nella moralità”.

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