D’ogni legge nemico e d’ogni fede – In memoria di Giordano Bruno

giordano-bruno_Si narra che durante un gioco di società, il giovane Bruno ricevette dalla sorte questo verso dell’Ariosto: la leggenda dice anche che lo stesso filosofo ricordasse l’evento compiacendosi per la veridicità della previsione: la sua avventura intellettuale, infatti, lo renderà simbolo delle battaglie della libertà di pensiero. Il suo pensiero rappresenta la più grande costruzione filosofica del Rinascimento, la sua figura ha assunto caratteri profetici.

Il sospetto di eresia lo accompagna fin dall’inizio del suo percorso entro l’ordine dei Domenicani, dove eccelle per spregiudicatezza intellettuale: fin da subito, infatti, rifiuta la venerazione delle immagini sacre e le prescrizioni che la Controriforma ha istituito per arginare la deriva protestante.

Una volta conseguito il titolo di lettore di teologia, si dedica alle opere di Marsilio Ficino ed Erasmo da Rotterdam, che rispettivamente valorizzano l’unità tra divino e umano e la libertà di pensiero, e approfondisce tanto le concezioni di Niccolò Copernico che di Bernardino Telesio, cercando di comporre una filosofia della natura imperniata sulla “qualità”, che dia risalto piuttosto ai modi dell’essere rispetto alla riduzione del mondo a una semplice misura quantitativa tipica del determinismo meccanicista che seguirà. Non risparmia critiche neppure all’aristotelismo “scientifico” (noto attraverso gli arabi come Averroé), giudicando come assurde le pretese della fisica aristotelica di elevarsi a metafisica.

Da questo momento in poi tutta la sua esistenza sarà un travaglio oscillante tra accuse di eresia ritirate in limine e “fughe” strategiche che in realtà sono motivate intimamente dal desiderio verace (e non tramandato dalla storia) di far conoscere le sue idee ai principi e governanti di tutta Europa, in modo da convincerli ad attuare una profonda riforma sociale. Cosa assolutamente impensabile per quel tempo!

Come segnala Michele Ciliberto, in Bruno gnosi e apocalittica si compenetrano in una conoscenza che procede per “rivelazioni” e rinnova di continuo il suo carattere originario, sovvertendo ogni idea di compimento della storia; in tale quadro teoretico la temperanza non rappresenta una virtù: i limiti vanno trascesi.

La vicenda terrena di Bruno si conclude nel 1592, quando il Mocenigo, dal quale si era recato su suo invito per insegnargli la mnemotecnica, lo consegna all’Inquisizione. Per i successivi dieci anni rimane in carcere, venendo sottoposto a un processo che ne dura sette, e subendo molto probabilmente più di una tortura. Posto di fronte alla scelta se abiurare (abdicando così al proprio Io) o salvare la propria integrità e morire, Bruno non ha esitazioni.

Rifiutata la richiesta di abiura, “stette nella sua maledetta ostinazione” e sfidò la sua giuria affermando: “Tremate più o voi giudici nel proferire la sentenza che non io nell’ascoltarla”. Il rogo viene consumato in un angolo di Campo de’ Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600, di fronte ad una folla che lo vide “morire martire e volentieri”. Le sue ceneri furono disperse.

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